Leonardo Pastorello
L'identità personale in Hume
Potremmo parlare scientificamente del concetto di identità personale? Rispondere a questo interrogativo non è facile, ma mettere a confronto Hume e Kant, gli autori Federico Laudisa e Christine Korsgaard, potrebbe esserci d'aiuto. Vediamo come.

Il problema dell'identità personale
Hume parte dal “Cogito ergo sum” cartesiano, il quale intende dimostrare che se “Io penso, dunque sono”: ciò implica che “Io sono uguale a me stesso”. Contrapponendosi al pensiero cartesiano e concordando con il pensiero di Locke, Hume afferma che non esiste alcuna identità personale, che si acquisisce non definendola ‘’Io’’, ma per mezzo dell’esperienza.
Ciò implica che l’identità personale non può essere attribuita a una sostanza materiale o spirituale, ma soltanto alla memoria del passato che ogni individuo conserva.
La nozione di “Io“ risulta provvisoria e discontinua e ‘’somiglia a una rappresentazione teatrale‘’, giacché non ha un fondamento ontologico, ossia metafisico. Perciò l’identità personale non è altro che un ‘’fascio di percezioni’’. Il confronto con l’eredità cartesiana si può osservare in questo passo del Trattato, in cui Hume ci dice:
“Disgraziatamente, tutte queste recise affermazioni sono contrarie all’esperienza stessa da essi invocata: noi non abbiamo nessuna idea dell’io, nel modo che qui viene spiegato. Da quale impressione potrebbe derivare tale idea? “ (Hume, Trattato, 1.4.6, p. 263).
Tuttavia, per Hume, l'esperienza, pur essendo di fondamentale importanza, non è mai inconfutabile, per via della sua natura soggettiva. Per questa ragione, i fenomeni possono essere spiegati per mezzo di principi associativi, ossia percezioni. Curiosa è un'osservazione humiana a riguardo, in cui il filosofo pone un parallelismo fra l'essere umano e lo Stato:
‘’Da questo lato non potrei paragonare l’anima meglio che a una repubblica, a uno stato, in cui i diversi membri sono uniti da un vincolo reciproco di governo e di subordinazione, e danno vita ad altre persone, le quali continuano la stessa repubblica nell'incessante cambiamento delle sue parti. E come una stessa repubblica non soltanto può cambiare i suoi membri […] nello stesso modo una medesima persona può mutare carattere e disposizione, così come le sue impressioni e le sue idee senza perdere la propria identità “(Hume, Trattato, 1.4.6, p.273).
Per Hume, il corpo è governato dalle passioni, che possono essere frenate attraverso altre passioni, ma la ragione non ha alcuna facoltà di opporsi a queste, perché la nozione di natura umana humiana implica necessariamente l’emotività dell’uomo. Come ci spiega il filosofo Federico Laudisa, Hume afferma che ‘’non siamo, cioè, soltanto esseri che astrattamente ragionano, ma siamo anche parte di un mondo naturale che ispira e modella le forme della nostra razionalità, nonché soggetti emotivi e morali che si collocano in un mondo di relazioni con gli altri“. (Laudisa, Hume, 3. , p.81).
Senza identità personale può esserci una responsabilità morale?
La filosofa danese Christine Korsgaard afferma che "Hume non riesce a trattenersi dal notare che la sua spiegazione dell’origine delle idee morali rende davvero attraente la virtù". (Korsgaard, Le origini della normatività, ETS Pisa -2013, p.81). La contraddizione notata da Korsgaard nel pensiero humiano è evidente anche nei termini in cui Hume definisce la ragione una "passione calma", che ha la facoltà di orientare le scelte individuali verso i piaceri più profondi e costanti.
Un comportamento particolare può reggersi sul riflesso del nostro carattere o di una nostra passione, ma non c’è mai un rapporto determinato a priori nella spiegazione di tale comportamento, perché bisognerebbe ricordare che Hume è un grande oppositore del razionalismo, del determinismo e dell’universalità. Il filosofo attacca duramente il determinismo: se affermiamo che un’azione non sia ‘’causata’’, cioè ‘’libera’’, ci precludiamo la possibilità di spiegarla con i principi scientifici della causalità.
Ma la domanda che può sorgere è: come si risolve il problema del conflitto con il prossimo, dovuto alle nostre passioni? Hume ci suggerisce una pista che può portarci ad un punto d’incontro tra agenti di un circolo ristretto, i quali devono accordarsi mediante i principi associativi della nostra mente. Il principio associativo umano che ha forza maggiore, in questi casi, è quello della simpatia, che è un meccanismo psicologico che ci consente di metterci dal punto di vista di un’altra persona.
Il termine <<simpatia>> deriva dal greco sympàtheia, che è la derivazione di pàthos (affezione, sentimento) unito con il prefisso syn (con, insieme). Hume definisce <<simpatia>> la denominazione di <<benevolenza>>. Si tratta di un concetto usato di frequente dai moralisti britannici del Settecento e l’importanza del tema ha indotto alcuni interpreti a supporre che la discussione su di essa abbia addirittura ispirato la trattazione del tema della credenza.
Hume, però, continua ad affermare nel suo Trattato che “La ragione è, e deve essere, schiava delle passioni e non può rivendicare in nessun caso una funzione diversa da quella di servire e obbedire a esse“. (Hume, Trattato, pp. 443,446). Dunque, la tesi humiana vuole dimostrare che l’unica ontologia possibile è di modello empirico e, di conseguenza, la natura umana va investigata con la psicologia empirica. Le questioni morali hanno una struttura molto simile a quelle di diritto, ma saranno giudizi morali, perché sono fondate sulla natura umana.
Se dovessimo seguire l’ottica razionalista, potremmo affermare che i criteri morali che vengono chiamati in causa per dare forma ai nostri giudizi hanno un fondamento razionale, ovvero una base fondante che è accessibile alla razionalità; se dovessimo seguire l’ottica sentimentalista, i criteri morali si fondano su una sorta di emotività definibile in termini di ‘’senso morale’’, il quale è produttore di approvazione o disapprovazione circa certi comportamenti. Ma qual è la posizione di Hume in tal proposito?
Hume si colloca nella posizione del sentimentalismo, ma ciò non implica che il filosofo non approvi la concordanza di ambo le parti, ovvero la parte sentimentalista e quella razionalista, poiché entrambe sono plausibili e possono trovare un punto d’incontro. Hume pone in questione una sua struttura deduttiva che ammette, in primo luogo, che la morale abbia un’influenza alquanto effettiva sull’agire, ma la ragione non può avere un’influenza esclusiva sulle azioni; dunque, ne consegue che la morale non può derivare dalla ragione dal momento che quest’ultima non può esercitare l’influenza che attribuiamo alla morale.
Kant e Hume a confronto
Immanuel Kant si sente debitore nei confronti di Hume: sostiene di essere stato svegliato da un <<sonno dogmatico>>che lo ha fatto riflettere sul fatto che se un giudizio sia oggettivo, bisogna rintracciare qualcosa che dev'essere necessariamente reale, poiché dev’esserci una realtà reale. Per Kant, bisogna capire se è possibile ragionare in modo autonomo, indipendentemente dalla psicologia, poiché la conoscenza si può giustificare solo per via razionale.
Secondo Kant, il filosofo non deve giustificare la conoscenza attraverso l’introspezione, bensì egli deve giustificarla attraverso la costruzione, ovvero mediante il ragionamento. Dunque, l’esperienza va mediata dalla mente, la quale dà forma alle percezioni, che vengono dall’esterno; struttura le esperienze percettive in giudizi epistemici mediante la ragione; un oggetto può essere conosciuto attraverso le sue strutture. A differenza di Hume, per Kant la ragione deve esaminare i giudizi e l’azione ha valore in assenza di interessi o sentimenti egemonici.
Kant afferma che ogni nostra conoscenza cominci con l’esperienza, ma sebbene ogni nostra conoscenza comincia con l’esperienza, non significa che essa derivi totalmente dall’esperienza. Seguendo il pensiero humiano, Kant vuole affermare con decisione che l’esperienza è il punto di partenza dello scibile, ma la <<vera e rigorosa universalità>> non si deriva dall’empirismo. Bisogna, dunque, una volta acquisita la lezione humiana, andare oltre, ricercando una scienza che non abbandoni il terreno dell’esperienza, ma che garantisca conoscenza certe e non solo probabili, e quindi, un’universalità non relativa.
Kant tiene ad affermare che la ragione è autorevole, perché si impone indipendentemente dagli interessi e dai sentimenti. Vi è il caso in cui l’agente rifletta basandosi sui propri interessi (caso del commerciante che decide di cambiare il prezzo del pane), ma secondo Kant, questa è un’operazione che è frutto di un ragionamento ipotetico, che ha già fissati i suoi fini, basati su interessi strumentali.
In conclusione: vi è un'identità personale e... morale?
Le passioni caratterizzano i nostri comportamenti, le nostre espressioni, le nostre forme di vita e il giudizio razionale potrebbe orientarci verso una conoscenza critica di esse. Per il filosofo prussiano Kant, ciò che causa un'azione è indipendente da una passione. Ma è sempre così? Siamo sempre attratti nel conoscere qualcosa - o qualcuno - in modo a priori? Indipendentemente da un'attrazione fisica o intellettuale?
Lo stesso Kant si rende celebre anche per la sua definizione di ''insocievole socievolezza'', ossia quella ''passione'' - citando un termine humiano - che lega gli animi umani in rapporti egoistici. Ma tralasciando la benevolenza o la malvagità di questa passione, non potremmo affermare che i legami umani nascono da una passione, ossia da una causa differente dalla ragione? Probabilmente dare senso di onnipotenza alla ragione è illusorio. Neanche Platone riesce in questa impresa e non è casuale che il filosofo ateniese si serva di miti, racconti fantastici.
Per quanto riguarda Hume, il filosofo anglosassone tiene distinte le nozioni di identità personale e di natura umana. Tuttavia, sorge un dubbio: come può Hume dare una valenza positiva al sistema politico della repubblica - traendo spunto, tra l'altro, da Platone - negando l'identità personale? Non sarebbe fuorviante tenere separati i concetti di identità e di natura umana?
Platone parlava di facoltà umane, le quali ci caratterizzano gli uni dagli altri e che ci rendono unici, come le imperfezioni e le perfezioni dei nostri corpi. Inoltre, conflitti tra i vari desideri si sviluppano anche in modo strettamente collegato alla materia. Non è casuale che il filosofo di Atene concepiva il corpo come prigione dell'anima. Ma al di là dei tecnicismi, sarebbe plausibile la soluzione proposta da Hume relativa ai conflitti generati dalle passioni. La simpatia, che nei termini contemporanei può essere confusa con l'empatia, è la passione che potrebbe garantire una sorta di equilibrio fra gli attori sociali, nel bene o nel male.